Il mistero della nuzialità: così lontani, così vicini.

La fortuna

–“Un matrimonio felice? è solo questione di fortuna, si tratta di incontrare la persona giusta, nel momento giusto, che abbia il carattere giusto, i tuoi stessi valori, il tuo stesso modo di pensare alla vita”.                                                                                                                                                                  (Woody Allen, comico e regista di film sulle relazioni affettive)

 

Il sentimento

–“Hai appena compiuto 82 anni. Sei sempre bella, elegante e desiderabile. Da 58 anni viviamo insieme e ti amo più che mai. Solo adesso che non ci sei più mi rendo conto che hai vissuto solo per me, per farmi felice, ti sei donata a me fino a diventare una cosa sola con me. Ora che non ci sei più non ha più senso per me continuare a vivere”.                                                                                                    (“Lettera a Dorinne, storia di un amore perfetto”. André Gorz filosofo marxista e ispiratore del maggio sessantottino a Parigi. Morto suicida pochi giorni dopo la scomparsa della moglie).

 

Il sentimento dentro a un progetto

–“La relazione di coppia è destinata a durare nel tempo solo se i due hanno scelto di vivere un progetto comune, che va continuamente ricostruito e modellato, buttando continuamente nuova legna sul fuoco della relazione”.                                                                                                                              (Zigmount Bauman, sociologo tedesco considerato il più profondo conoscitore della cosiddetta “società liquida” contemporanea).

 

Il sentimento e il progetto come scelta dell’Altro

–“Oggi l’unione di due persone non è più condizionata dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza o il mantenimento della propria condizione sociale, ma è il frutto di una scelta individuale che avviene solo in nome dell’amore. Le famiglie di origine, lo stato, il diritto, la Chiesa, non hanno più alcun potere su questa scelta e neppure in ordine alla separazione, quando i due eventualmente si congedano. Nella nostra epoca l’amore è visto soprattutto per la propria realizzazione personale e per la propria gratificazione. Ciò che si cerca non è l’altro, ma la realizzazione di sé. Quando l’amore e l’intimità è cercata per sé e non per l’altro, l’individuo finisce per essere ugualmente solo, bloccando a sé stesso ogni possibilità di trascendenza, di andare oltre sé stesso. Non una ricerca di sé, ma dell’altro e della sua felicità può spezzare la nostra autonomia e la nostra solitudine, spingendoci verso un qualcosa che ha a che fare con l’Assoluto. E’ chiaro che questo avviene a nostro rischio, l’altro è qualcuno, mi espone, mi incrina, mi destabilizza. Ma solo così un uomo o una donna possono andare oltre la propria individualità cercando di vivere un tipo di Amore che ha il sapore dell’Assoluto e dell’Infinito. E’ come quando un monaco oun mistico scelgono Dio come unica fonte e unico riferimento della loro vita. L’amore sacro e l’amore profano vissuti fino in fondo non sono poi così distanti tra loro”.                                                                                (Umberto Galimberti, psicoterapeuta e sociologo laico).

L’amicizia di coppia, primo fattore di stabilità

Al primo posto tra questi fattori c’è “un rapporto d’amicizia, destinato ad aumentare nel corso del tempo”. Rileviamo subito che al primo posto non c’è l’intesa sessuale, anche se, ovviamente, essa è importante. Il fattore amicizia la dice lunga su come i due vivano assieme. Escludiamo però subito che amicizia significhi saper tutto dell’altro, pretendere di abitare nella sua mente, leggere inequivocabilmente i suoi sentimenti. Mettiamo anche in luce l’opposto di amicizia e cioè “le vite parallele” in cui ciascuno fa la sua vita, tiene i suoi segreti, la sua privacy come difesa dall’altro: anche qui l’amicizia è sparita. Ambedue questi estremi segnalano la coppia disfunzionale. Allora, di quale amicizia si tratta? Si tratta di confidenza, fiducia e rispetto. Si tratta di sentirsi accolti presso l’altro e di accogliere l’altro nella sua diversità; si fa amicizia con l’altro da sé quando non lo si vuole a propria immagine (in termini di fede ricordiamo che l’altro è fatto a immagine di Dio, proprio nel suo essere maschio/femmina!) e a propria misura: “secondo i miei bisogni e le mie attese”. L’amicizia ha a che fare, l’abbiamo appena visto alla fine del capitolo precedente, con regolatori di distanza sani e condivisi. Ci siamo così convinti che nella coppia, l’amicizia non è un’amicizia qualsiasi, ma amicizia di coppia, amicizia cioè in cui ci sia accesso all’intimità.

 

L’idea di dover fare durare il matrimonio, secondo fattore di stabilità

Il secondo fattore che ricorre in maniera significativa in una “coppia che dura” è espresso nella ricerca cui l’abbiamo accennato in questi termini: “il convincimento che il matrimonio sia un impegno a lungo termine e che quindi si debba cercare di farlo funzionare”. Ma esso rivela tutta la sua profondità nell’epoca delle unioni a termine, del “finché dura”, delle convivenze; quando uno accede al matrimonio con la convinzione, più o meno esplicita, del “tanto non dura”, in fondo non fa che scavargli la fossa. Questo secondo fattore ci permette di insinuare l’osservazione che la coppia disfunzionale – più frequentemente di quella sana – ha da qualche parte la profezia della non durata del proprio amore:                                                                                                                                             — o perché singolarmente (e più spesso di quanto si creda) uno “sa come va a finire” (“in fondo me l’aspettavo il fallimento  — ci diceva una giovane moglie – se non è riuscito ai miei genitori di stare assieme, perché dovrebbe riuscire a noi?”);                                                                                                                 — o perché entrambi dichiarano la loro precisa volontà di provare se funziona e quindi – come suggerisce la ricerca – ai primi intoppi non mettono in atto né una seria ricerca di soluzioni, né una sana flessibilità, perché il fallimento – messo in conto quasi per prudenza o per scaramanzia – agisce da fattore preditivo che incaglia la coppia, invece che spingerla al largo.

 

Il non calcolo, terzo fattore di stabilità

Una terza costante delle unioni che durano è “l’assenza di calcolo per quel che si dà e quel che si riceve, vale a dire l’assenza di un’attitudine al mercanteggiamento sistematico, momento per momento”. Anche questo fattore non può non sorprenderci, perché siamo tutti culturalmente immersi nel diktat della par condicio, della parità, del divieto di mettersi in secondo piano, della necessità di accedere al proprio godimento. Al di là di una pretesa simmetrica parità, una coppia sana ammette rapporti disuguali. Provvisori. E sotto punti di vista diversi. La vita è sempre sbilanciata: quale genitore, se avesse aspettato un grazie, avrebbe nutrito, cullato, abbracciato un figlio? Quale innamorato, se avesse atteso la certezza di essere ricambiato, avrebbe detto per primo “ti amo”? E magari continuerebbe a dirlo anche se l’altro, nella lingua del do ut des, non se lo merita? Va da se che se uno continuamente dà e l’altro si attesta solo nel ricevere, qualcosa non va; e qualcosa di assai profondo; e non solo per chi sfrutta il rapporto, ma anche per chi si lascia sfruttare, perché chi è abituato sempre e solo a dare, probabilmente è inabilitato a ricevere, anzi il ricevere lo mette in ansia, fa uscire allo scoperto le sue parti fragili, mascherate dal bisogno di essere indispensabile. Gli apporti dunque hanno da essere (non possono non essere) disuguali, ma “provvisoriamente”, poiché nel legame familiare una è la persona che, per certi aspetti, dà e, sotto altri, riceve.

 

La capacità di fronteggiare il cambiamento, quarto fattore di stabilità

Altri aspetti importanti sono poi affiorati nella ricerca: la disposizione a condividere gli stessi obbiettivi (valori); la capacità di ridere insieme; l’intesa sessuale; la possibilità del litigio prima di ristabilire l’armonia; infine l’espressione dei propri sentimenti e della propria ambivalenza. Molto interessante è la chiosa che l’autrice fa alla ricerca, quando si chiede quale sia il denominatore comune sotteso a tutti questi fattori e lo ritrova nella capacità di fronteggiare il cambiamento, sia il proprio che quello del partner. Anzi, essendo un “luogo a due” (e più di due, quando arrivano i figli), i cambiamenti si moltiplicano e diventano perfino più profondi, chiedono maggior adattamento. Solitamente la coppia si rivela disfunzionale quando uno cerca di cambiare l’altro, percependo i propri bisogni come giusti e sacrosanti: è l’altro che deve cambiare per adattarsi a me! La coppia invece diventa tanto più sana quanto più ciascuno “aggiusta” i propri bisogni sulla base dell’altro, adattandosi ai ritmi dell’altro.

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